R.A.T. manifesto I° parte

Questo scritto nasce con l’intenzione di concentrare gli sforzi nell’arginare e combattere il Technosistema e le dinamiche che originano da essa nel nostro tempo. Cos’è il Technosistema? Il Technosistema rappresenta la somma delle mediazioni che esistono tra la civiltà a cui apparteniamo e il mondo naturale. Il processo che ha trasformato la tecnologia in Technosistema è composto da tutti quei processi che hanno dato vita ad istituzioni autoritarie impersonali. Le dimensioni enormi, le complesse interconnessioni e la stratificazione dei compiti che compongono i moderni sistemi tecnologici rendono necessario il comando autoritario e indipendente dal processo decisionale individuale e quindi la nascita di strutture formali per gestire le dinamiche tra sistema e sottoposti. Il concetto per cui la lotta anticapitalista possa portare ad un cambiamento radicale di questo sistema di cose si è rivelato un miraggio per le seguenti motivazioni:

  • il Technosistema è sicuramente un prodotto del Capitalismo, ma rappresenta una realtà che si è resa indipendente dalla classe governante, attraverso la costituzione di istituzioni impersonali che esercitano il potere sotto forma di obbedienza in catene ricorsive. Ciò che oggi è la classe governante rappresenta un interfaccia, un sistema di mediazione tra sistema e utente. Lo Stato Capitalista ha raggiunto il culmine di coercizione e violenza alla fine del XX secolo e ha dovuto appoggiarsi al progresso tecnologico per non mettere a rischio le basi del proprio potere. Il Capitalismo moderno, ovvero lo Stato Democratico Industriale funziona essenzialmente come uno strumento di oppressione coloniale e di riduzione in schiavitù nazionale secondo uno stile corporativistico multinazionale. Ai cittadini di siffatto Stato viene data solo la scelta tra burocrati di professione selezionati dal Technosistema che rappresentano partiti politici con piani d’azione solo leggermente diversi finalizzati alla crescita del potere corporativo. Queste coroporazioni non sono altro che, se analizzate a livelli più alti di ciò che si vuol far intendere all’utente medio, strutture di controllo e obbedienza su vasta scala ovvero istituzioni impersonali. Il Capitalismo non controlla più il Technosistema, ma ne è diventato sottoposto dal momento preciso in cui, oggi, ogni utente può esercitare un minimo di volontà sui sistemi tecnologici. Questa volontà non si traduce in una distribuzione millesimale del potere di controllo, come avrebbe voluto Marx, ma in effetti rappresenta unicamente la “libertà” concessa dal sistema di eseguire una preferenza.
  • La Sinistra in nome dell’anticapitalismo e per combattere gli effetti devastanti del consumismo sull’ambiente non promuove un cambio radicale dell’attuale sistema ma promuove un sostegno al progresso Tecnologico in chiave di energie e processi verdi e sostenibili. In questo modo il potere concentrato nel Technosistema non viene messo in discussione ma viene esercitato in una modalità più “digeribile”.Oggi, l’opzione di un’amministrazione di sinistra, socialdemocratica, è venuta a portare una prospettiva di vita ad un modello sociale già sul lastrico. Questo è stato ottenuto creando condizioni di pace sociale, di riconciliazione nazionale e di classe nelle strade e nei luoghi di lavoro. Questo ha determinato la fine dei movimenti politici dal “basso” e il loro ritiro poichè non capaci di ampliare i loro imperativi e di aggregare e generalizzare diverse lotte al fine di organizzare un contrattacco sociale.

La presa di coscienza sulle dinamiche dello Stato Democratico ci pone nella condizione di riconsiderare completamente il processo “evolutivo” dei sistemi politici. Questa evoluzione ci appare sempre di più come un assottiglimento della percezione di controllo passivo da parte dell’utente verso il sistema. Ecco che tutto ad un tratto il passaggio da totalitarismo a democrazia si manifesta in tutta la sua terribile immagine. Vi sono più possibilità di cambiare in modo radicale la società affrontando uno Stato totalitario di quante ce ne siano sotto uno Stato democratico. Anzi quel passaggio storico che intercorre tra caduta del totalitarismo e affermarsi della democrazia si rivela non come la fine di un era e l’inizio di un’altra, ma come un perverso continuum del potere istituzionalizzato. La decentralizzazione del potere rende più difficile correre il rischio di destabilizzazione. Il primitivismo e l’antropologia radicale offrono indubbiamente numerosi spunti da cui partire. Ma la critica radicale alla società industriale appare più una speculazione filosofica e pessimistica se non riesce a fornire una via di liberazione.

La prima conclusione a cui arriviamo dopo queste considerazioni è che se il “nemico” è il Technosistema ed esso si è reso avulso dalle ideologie e fatti storici che ne hanno dato origine, l’analisi del passato e lo studio dei modelli storici di potere centralizzato non ci aiuteranno in questa battaglia.

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R.A.T. Manifesto II° Parte

Di fronte a queste considerazioni appare sempre più arduo e utopistico trovare un percorso rivoluzionario. Per ogni processo mentale che possiamo seguire, ci ritroviamo sempre davanti al quesito: “Se il Technosistema ha raggiunto un livello così centrale nella nostra civiltà e permea ogni aspetto della nostra vita, come uscirne?”

Ai nostri tempi abbiamo sperimentato, sia storicamente nel passato che nel nostro presente, la completa inutilità dell’azione diretta. Lo sciopero, la protesta, il boicottaggio e il sabotaggio sono tutte azioni che non hanno dato i risultati sperati. Lo sciopero e il sabotaggio nel lavoro Industriale fu una campagna dei primi Anarco-Primitivisti all’inizio degli anni ’70. Purtroppo sia gli attivisti che i lavoratori in generale presupponevano di coesistere in un sistema economico la cui crescita era costantemente positiva nel futuro. La crisi economica aprì gli occhi sul fatto che anche l’economia seguiva dei cicli sinuodali e l’avvento di una crescente disoccupazione e della totale incapacità del Sistema di far fronte all’emergenza creò uno scenario catastrofico. Le differenze sociali divennero enormi, e lo Stato Sociale cominciò letteralmente a disintegrarsi, e i pochi che riuscivano a mantenere il posto di lavoro rinunciarono ad ogni azione diretta contro il sistema Industriale. Subentra in questi casi un istinto egoistico a tutelare ciò che è proprio per cui anche una schiavitù e migliore alla disoccupazione. La protesta sfociata dal ’68 in poi fu in parte distrutta dallo Stato con l’immissione nei circoli più attivi dell’eroina che decimò migliaia di individui, d’altra parte la protesta venne assimilata dal sistema, la simbologia divenne un oggetto di mercato e ad un tratto nella metà degli anni ’90 ogni movimento di protesta fu categorizzato come subcultura, accettato dal sistema come espressione artistica e intuizione sociale dei bisognosi e in questo modo normalizzato. Il boicottaggio di consumo nella teoria fu uno strumento interessante ma ideologicamente sbagliato. Come atteggiamento era puramente consumistico, ma intendeva con una preferenza di consumo indirizzare il mercato verso economie più etiche. Il mercato reagì piuttosto bene al boicottaggio dando vita a situazioni di ethicalwashing. Oggi abbiamo settori economico/industriali eticamente corretti ma che fanno ancora uso di tutte quelle dinamiche che si combattevano già negli anni ’70. Il fatto che il prodotto sia etico di per sè non lo rende altrettanto etico se per produrlo abbiamo usato un sistema di lavoro salariale che metta in condizione il ceto basso di subire il ricatto tra il lavoro in situazioni misere o l’abbandono sociale. Il fatto poi che dal 2000 ogni settore è diventato un anello all’interno della filiera del Terziario Avanzato, ovvero il comparto Tecnologico, ogni prodotto seppur etico/ biologico/ biodinamico/ etc. è pur sempre un prodotto del Technosistema.

L’epidemia di Covid19 ha aperto uno spiraglio che ha illuminato un’intuizione. Dal momento che il virus ha cominciato ad imperversare a livello globale il Technositema ha reagito limitando la circolazione degli utenti, fermando il comparto Industriale e aumentando le dinamiche virtuali per sopperire al bisogno di relazionarsi tra individui. Ma in tutto questo non ha potuto impedire che la gente morisse. Il Sistema è intervenuto censurando parte delle cifre del contagio, in parte per evitare che se ne mettesse in dubbio l’efficenza, dall’altra per mantenere un controllo sul dosaggio di paura da immettere nel circuito quotidiano per rafforzare il controllo sulla popolazione. Ma ciò che si evince dalla Pandemia è che nonostante il sistema scolastico ci abbia addestrato sul fatto che il mondo naturale rappresenta semplicemente una risorsa inanimata di cui possiamo servirci al limite delle nostre possibilità, esso è invece un Sistema Naturale organizzato secondo leggi da cui noi ci siamo alienati che elabora meccanismi di difesa per se stesso e di attacco verso ciò che è nocivo. La Pandemia evidenzia che il Technosistema non ha il controllo sul Sistema Naturale. Esso è semplicemente costruito sul bisogno umano di riempire il vuoto psichico tra il Sè e l’Altro. Le persone vengono formate fin dalla nascita dalla cultura che hanno intorno e dalle interazioni con le persone vicine. La civiltà manipola queste relazioni primarie in modo tale da addomesticare il bambino, ovvero, in modo tale da abituarlo alla vita in una struttura sociale lontana dalla natura. Il processo reale di addomesticamento può essere descritto come segue, usando termini presi in prestito dalla scuola di psicologia delle relazioni tra oggetti. Il bambino vive completamente nel proprio momento presente, in uno stato totale di fiducia e candore, profondamente legato alla madre. Ma, man mano che cresce, scopre che la madre è un’entità separata con le proprie priorità e i propri limiti. L’esperienza relazionale del bambino cambia da una caratterizzata da fiducia spontanea a una soffusa di bisogno e desiderio. Questo crea un divario tra il Sè e l’Altro nella consapevolezza dell’individuo, il quale tenta di colmare questa frattura sempre più profonda con oggetti sostitutivi, abitudini e convinzioni che servono a riempire quel vuoto fornendo un senso di sicurezza. È il potente bisogno umano di oggetti sostitutivi che guida gli individui nella loro ricerca della proprietà e del potere, e che genera le burocrazie e le tecnologie. Si intuisce che molti dei malesseri psichici ed emozionali della gente civilizzata proviene dall’abbandono, nella nostra cultura, dei metodi di allevamento naturali dei bambini e dei riti di iniziazione, e della loro sistematica sostituzione con pratiche pedagociche alienanti, dalla culla alla vita adulta. Le ripercussioni sulla qualità di vita sono evidenti, ma forse non troppo quelle dei meccanismi di controllo da parte della Megamacchina e gli esseri umani.

Le malattie psichiatriche in primis rappresentano il frutto dei disastri commessi nell’evoluzione umana dalla civilizzazione. I primi a porre le basi teoriche di un’origine evolutiva dei disturbi psichiatrici furono i medici tedeschi Emil Kraeplin (1856-1926) e Kurt Schneider (1887-1967), i quali mettendo in discussione l’esistenza della schizofrenia stessa come un’entità unica e distinguibile dalle altre, hanno per primi sollevato l’idea che si trattasse di un continuum di sintomi che giravano intorno ad un “core”, dove i disturbi del linguaggio/pensiero erano quelli più rappresentativi.Questa considerazione unitamente al fatto che la schizofrenia ha una forte componente genetica e che la sua incidenza è direttamente correlata con l’aumento di civilizzazione dell’essere umano, hanno spinto anche altri ricercatori e scienziati a considerarla come una malattia prettamente umana, con una forte componente evolutiva. Tendenzialmente la psichiatria e la psicologia mettono in luce un aspetto inquietante dell’umanità: tutti sono alienati. Il pensiero della cultura dominante, come sappiamo, ha sempre affermato che la vita alienata è inevitabile. Infatti, la cultura e la civiltà stessa esprime questo dogma essenziale: il processo di civilizzazione – come osserva Freud – è il passaggio forzato da una vita libera e naturale ad una vita di continua repressione. Il Technosistema sa che siamo alienati, sa che potenzialmente sviluppiamo tutti quanti comportamenti ossessivi e maniacali più o meno gravi, e alimenta il disturbo isolando i soggetti più deboli in strutture psichiatriche sviluppate ad hoc. Il Technosistema ragiona a livello matematico e questo tipo di ragionamento ha inevitabilmente influenzato tutti gli ambienti che dominano il quotidiano dell’essere umano. L’interfaccia economica ragiona matematicamente, valutando ogni manovra non come giusta o sbagliata ma come vera o falsa. L’interfaccia politica ragiona a livello nominale, assegnando ad ogni soggetto un valore numerico e costruendo equilibri sociali basandosi su complessi algoritmi generati da computer. E la “casta” sociale più potente è quella dei medici/scenziati i quali hanno nella matematica il fondamento su cui elaborare tutte le loro teorie e confutare quelle provenienti dall’esterno. L’ortodosseismo di solo determinate branche mediche, e l’appoggio incondizionato da parte della classe governante, hanno trasformato la scienza e al suo interno la psichiatria in forme di controllo. Attraverso la psicofamacopea vi è una graduale disumanizzazione dell’individuo, le terapie e i trattamenti sanitari obbligatori (tso) diventano strumenti per isolare chi è potenzialmente dannoso per il clima di (in)coscienza generale e ridurgli in pappa il cervello. Le scienze della mente con il passare del tempo, hanno introdotto un modello standard su cui si devono basare i processi mentali degli individui per potersi definire “normali”. Ed ecco che attraverso la pedagogia avviene un processo di omologazione della specie. Finora abbiamo descritto le dinamiche e la natura intrinseca della tripartizione del Technosistema. Adesso analizzeremo le falle del sistema, e tenteremo di proporre o almeno illuminare un tratto di strada verso l’uscita. Come abbiamo già accennato precedentemente il Technositema non esercita nessun controllo sul Sistema Naturale. Ne manipola le risorse, certo, e crea anche immani danni all’ambiente, ma non può sottrarsi dal subire passivamente le conseguenze degli stravolgimenti ambientali che causa. Sulla base di una dinamica apparentemente democratica e di modelli di normalizzazione delle proteste si assicura il sotegno incondizionato della maggioranza degli individui. E attraverso dinamiche di ricatto sociale si assicura la forza lavoro per far andare avanti i propri meccanismi. La corsa al progresso tecnologico è l’azione principale e rappresenta l’ideologia costantemente riproposta sotto forma di beni di consumo e manipolazione sociale in modo che essa diventi un attività frenetica della popolazione. Coloro che non stanno dietro al progresso, sia per capacità mentale che per scelta ideologica vengono lasciati indietro. Nonostante il modello di Stato Democratico Industriale sia affermato nella stragrande maggioranza dei paesi più potenti, l’obiettivo finale di uno Stato Democratico Industriale Globale è ancora lontano da raggiungere e ciò gioca a nostro favore. Nel continente Asiatico e Africano abbiamo ancora molti paesi che hanno ancora una struttura sociale e politica di stampo semi-tribale e che devono ancora affrontare la transizione totalitaria e successivamente quella democratica. Il fatto che l’intero sistema fa leva su tutta una serie di comfort che ci differenziano dal Paleolitico, qualunque personaggio che teoricamente e nella pratica cerchi di sviluppare un cambio radicale non “criminoso” riceve in cambio dalla commiserazione all’attacco mediatico. Rifarsi al primitivismo e quindi al ritorno di una civiltà pre agricola non solo è utopistico ma non è fattibile. Almeno non nell’immediato. La lotta violenta e l’azione diretta non solo rappresentano modelli di intervento socialmente obsoleti, ma controproducenti ad un cambio radicale costruttivo. Quello che vogliamo fare è porre le basi per un processo di transizione radicale verso un modello di civiltà sostenibile e socialmente libertario. Il modello antropologicamente più giusto è sicuramente quello comunitario. È necessario muoversi attraverso la propagazione di idee che riscuotino la coscienza degli individui e cominciare a sviluppare dinamiche sociali limitatamente al territorio che viviamo intessendo rapporti umani reali. Il sistema non ha controllo su quanto vi è di più naturale, e quindi su tutte quelle modalità sociali meta-tribali.

(A)gricoltura Collettiva: modello di eguaglianza sociale

Nonostante l’approccio prominente nell’anarco-primitivismo sia quello di John Zerzan per cui l’agricoltura, fondamento indispensabile della civilizzazione, fa la sua comparsa originaria una volta emersi tempo, linguaggio, numero e arte. Alienazione che si materializza, l’agricoltura è il trionfo del distacco e della definitiva separazione tra cultura, natura ed esseri umani. A noi piace indirizzarci maggiormente sulla posizione di Marija Gimbutas  eRiane Eisler per cui la scoperta dell’agricoltura, e il conseguente sviluppo delle civiltà sedentarie, non hanno comportato lo sviluppo di strutture gerarchiche e autoritarie, visto che erano fondate sul culto egualitario della Dèa Madre, sulla pace e il rispetto della natura, tutti valori tipici delle cosiddette società galeniche. Anzi secondo la nostra visione la rivoluzione agricola fu un vero e proprio tentativo di destabilizzare un certo tipo di autoritarismo e gerarchia nato in seno alle società dei cacciatori-raccoglitori. A queste ultime si svilupparono tutta una serie di dinamiche evolutive per cui la cultura tribale esaltava chi era forte e un buon cacciatore a discapito di chi per natura era nato con meno muscoli e più cervello. Inevitabilmente chi sopravviveva allìinfanzia ma non aveva le condizioni fisiche ideali per sostenere l’attività di caccia veniva relegato insieme alle donne nell’attività di raccogliere. In seno a queste società, che il compagno Zerzan dipinge come il modello aureo di un futuro primitivista, per motivazioni naturali ed evolutive si formarono barriere sociali come il sessismo, il maschilismo, la discriminazione sociale e la divisione in classi. L’agricoltura spianò a livello sociale tutte queste ingiustizie, il forte come il debole potevano coltivare la terra, non vi erano più divisioni nel lavoro ne nal genere. Oltretutto lo stianziarsi nei territori e il semi-nomadismo da territori estivi a territori invernali fino al fermarsi in zone temperate, abolì tutte quelle capacità genetiche che tendevano a concentrare il potere decisionale nelle mani di una ristretta cerchia di “evoluti”. Il passaggio che instaurò nell’agricoltura i fondamenti della civiltà odierna e della prevaricazione dell’uno sull’altro fu il concetto di proprietà.

Al giorno d’oggi individuiamo in un Agricoltura Collettiva, una via di liberazione. La condivisione della terra da coltivare, fuori dalle logiche di quadagno come affitto o vendita. Il ritorno a microsocietà collettive di agricoltori socialmente uguali, impregnate da un forte libertarismo ci sembrano una sfida pratica per l’anarco-primitivismo di oggi.

R.A.T. manifesto I° parte

Questo scritto nasce con l’intenzione di concentrare gli sforzi nell’arginare e combattere il Technosistema e le dinamiche che originano da essa nel nostro tempo. Cos’è il Technosistema? Il Technosistema rappresenta la somma delle mediazioni che esistono tra la civiltà a cui apparteniamo e il mondo naturale. Il processo che ha trasformato la tecnologia in Technosistema è composto da tutti quei processi che hanno dato vita ad istituzioni autoritarie impersonali. Le dimensioni enormi, le complesse interconnessioni e la stratificazione dei compiti che compongono i moderni sistemi tecnologici rendono necessario il comando autoritario e indipendente dal processo decisionale individuale e quindi la nascita di strutture formali per gestire le dinamiche tra sistema e sottoposti. Il concetto per cui la lotta anticapitalista possa portare ad un cambiamento radicale di questo sistema di cose si è rivelato un miraggio per le seguenti motivazioni:

  • il Technosistema è sicuramente un prodotto del Capitalismo, ma rappresenta una realtà che si è resa indipendente dalla classe governante, attraverso la costituzione di istituzioni impersonali che esercitano il potere sotto forma di obbedienza in catene ricorsive. Ciò che oggi è la classe governante rappresenta un interfaccia, un sistema di mediazione tra sistema e utente. Lo Stato Capitalista ha raggiunto il culmine di coercizione e violenza alla fine del XX secolo e ha dovuto appoggiarsi al progresso tecnologico per non mettere a rischio le basi del proprio potere. Il Capitalismo moderno, ovvero lo Stato Democratico Industriale funziona essenzialmente come uno strumento di oppressione coloniale e di riduzione in schiavitù nazionale secondo uno stile corporativistico multinazionale. Ai cittadini di siffatto Stato viene data solo la scelta tra burocrati di professione selezionati dal Technosistema che rappresentano partiti politici con piani d’azione solo leggermente diversi finalizzati alla crescita del potere corporativo. Queste coroporazioni non sono altro che, se analizzate a livelli più alti di ciò che si vuol far intendere all’utente medio, strutture di controllo e obbedienza su vasta scala ovvero istituzioni impersonali. Il Capitalismo non controlla più il Technosistema, ma ne è diventato sottoposto dal momento preciso in cui, oggi, ogni utente può esercitare un minimo di volontà sui sistemi tecnologici. Questa volontà non si traduce in una distribuzione millesimale del potere di controllo, come avrebbe voluto Marx, ma in effetti rappresenta unicamente la “libertà” concessa dal sistema di eseguire una preferenza.
  • La Sinistra in nome dell’anticapitalismo e per combattere gli effetti devastanti del consumismo sull’ambiente non promuove un cambio radicale dell’attuale sistema ma promuove un sostegno al progresso Tecnologico in chiave di energie e processi verdi e sostenibili. In questo modo il potere concentrato nel Technosistema non viene messo in discussione ma viene esercitato in una modalità più “digeribile”.Oggi, l’opzione di un’amministrazione di sinistra, socialdemocratica, è venuta a portare una prospettiva di vita ad un modello sociale già sul lastrico. Questo è stato ottenuto creando condizioni di pace sociale, di riconciliazione nazionale e di classe nelle strade e nei luoghi di lavoro. Questo ha determinato la fine dei movimenti politici dal “basso” e il loro ritiro poichè non capaci di ampliare i loro imperativi e di aggregare e generalizzare diverse lotte al fine di organizzare un contrattacco sociale.

La presa di coscienza sulle dinamiche dello Stato Democratico ci pone nella condizione di riconsiderare completamente il processo “evolutivo” dei sistemi politici. Questa evoluzione ci appare sempre di più come un assottiglimento della percezione di controllo passivo da parte dell’utente verso il sistema. Ecco che tutto ad un tratto il passaggio da totalitarismo a democrazia si manifesta in tutta la sua terribile immagine. Vi sono più possibilità di cambiare in modo radicale la società affrontando uno Stato totalitario di quante ce ne siano sotto uno Stato democratico. Anzi quel passaggio storico che intercorre tra caduta del totalitarismo e affermarsi della democrazia si rivela non come la fine di un era e l’inizio di un’altra, ma come un perverso continuum del potere istituzionalizzato. La decentralizzazione del potere rende più difficile correre il rischio di destabilizzazione. Il primitivismo e l’antropologia radicale offrono indubbiamente numerosi spunti da cui partire. Ma la critica radicale alla società industriale appare più una speculazione filosofica e pessimistica se non riesce a fornire una via di liberazione.

La prima conclusione a cui arriviamo dopo queste considerazioni è che se il “nemico” è il Technosistema ed esso si è reso avulso dalle ideologie e fatti storici che ne hanno dato origine, l’analisi del passato e lo studio dei modelli storici di potere centralizzato non ci aiuteranno in questa battaglia.

Dal controllo del contagio al contagio del controllo

L’attuale “emergenza sanitaria” ci appare un’ottima nuova ambientazione nel gioco del potere costituito. In nome del controllo del contagio, l’autorità sta mettendo in atto una vera e propria “terapia” del controllo di massa. Le restrizioni alla libertà, l’abolizione del rapporto fisico e dell’associazione e aggregazione e la possibilità “obbligata” di comunicare unicamente attraverso sistemi monitorabili ci sembra la tipica mossa di preludio allo scacco matto. Come siamo arrivati a questo punto? Crediamo che la colpa ricada inevitabilmente sui molti della nostra generazione, che ad un certo punto hanno smesso di lottare. Il progressivo abbandono della lotta per i valori ha indebolito le resistenze e, parliamoci chiaro, abbiamo lasciato che l’Autorità si allargasse. Abbiamo perso di vista il nemico, che ha avuto il tempo di mascherarsi e trasformarsi. Il nemico, il vero virus, la malattia della prevaricazione sull’altro, non è davanti a noi come asserisce chi porta avanti la lotta di classe, ma è dietro di noi. Non guardate alle notizie che arrivano oggi, ma alla luce di ciò che succede intorno a voi rileggete le notizie di ieri, la settimana scorsa, il mese scorso, 1, 2, 10 anni fa. Scoprirete allora che la riforma fiscale di 10 anni fa non era altro che il preludio alla privazione di oggi. Il nemico è chi ha posto l’umanità a classificarsi, che ha posto le basi per dar vita ad una lotta di classe. Il vero virus in questo mondo è la Civiltà.

lele rat

Val di R.A.T.

Cos’è la Val di Rat?

La Val di Rat non è un collettivo, ma più una comunità di resistenza, un gruppo d’affinità con la diffusione di informazione, stimolare la discussione e l’aggregazione e individuare modalità di azione per la liberazione. La Val di Rat è geograficamente ubicata nel Triangolo Lariano, ma rappresenta un collettivo concettuale, esiste in ogni dove, dove si coltiva e si alleva in senso pratico un alternativa per una transizione radicale ad una civiltà sostenibile e libertaria. I Ratti non sono soci di qualche associazione, non hanno la tessera ne sono militanti. I Ratti sono critici verso il Società Industriale e il  Capitalismo.  Essere anticapitalisti è ovvio, è giusto, è lecito ecc. ma se l’avversione al capitalismo non è un’aggiunta ad un avversione verso tutto ciò che ha originato il sistema odierno, rimane un tag, un banner o un mod sotto cui nascondere le proprie insicurezze e debolezze. Crediamo che la soluzione sia raggiunta attraverso il dialogo e la critica radicale a ciò che ci circonda. Dobbiamo riaffinare i nostri sensi per discernere ciò che è reale da ciò che ci hanno inculcato. Dobbiamo smantellare la somma delle mediazioni che separano l’uomo dall’ecosistema.

RAT (Rage Against Technosystem)