Di fronte a queste considerazioni appare sempre più arduo e utopistico trovare un percorso rivoluzionario. Per ogni processo mentale che possiamo seguire, ci ritroviamo sempre davanti al quesito: “Se il Technosistema ha raggiunto un livello così centrale nella nostra civiltà e permea ogni aspetto della nostra vita, come uscirne?”
Ai nostri tempi abbiamo sperimentato, sia storicamente nel passato che nel nostro presente, la completa inutilità dell’azione diretta. Lo sciopero, la protesta, il boicottaggio e il sabotaggio sono tutte azioni che non hanno dato i risultati sperati. Lo sciopero e il sabotaggio nel lavoro Industriale fu una campagna dei primi Anarco-Primitivisti all’inizio degli anni ’70. Purtroppo sia gli attivisti che i lavoratori in generale presupponevano di coesistere in un sistema economico la cui crescita era costantemente positiva nel futuro. La crisi economica aprì gli occhi sul fatto che anche l’economia seguiva dei cicli sinuodali e l’avvento di una crescente disoccupazione e della totale incapacità del Sistema di far fronte all’emergenza creò uno scenario catastrofico. Le differenze sociali divennero enormi, e lo Stato Sociale cominciò letteralmente a disintegrarsi, e i pochi che riuscivano a mantenere il posto di lavoro rinunciarono ad ogni azione diretta contro il sistema Industriale. Subentra in questi casi un istinto egoistico a tutelare ciò che è proprio per cui anche una schiavitù e migliore alla disoccupazione. La protesta sfociata dal ’68 in poi fu in parte distrutta dallo Stato con l’immissione nei circoli più attivi dell’eroina che decimò migliaia di individui, d’altra parte la protesta venne assimilata dal sistema, la simbologia divenne un oggetto di mercato e ad un tratto nella metà degli anni ’90 ogni movimento di protesta fu categorizzato come subcultura, accettato dal sistema come espressione artistica e intuizione sociale dei bisognosi e in questo modo normalizzato. Il boicottaggio di consumo nella teoria fu uno strumento interessante ma ideologicamente sbagliato. Come atteggiamento era puramente consumistico, ma intendeva con una preferenza di consumo indirizzare il mercato verso economie più etiche. Il mercato reagì piuttosto bene al boicottaggio dando vita a situazioni di ethicalwashing. Oggi abbiamo settori economico/industriali eticamente corretti ma che fanno ancora uso di tutte quelle dinamiche che si combattevano già negli anni ’70. Il fatto che il prodotto sia etico di per sè non lo rende altrettanto etico se per produrlo abbiamo usato un sistema di lavoro salariale che metta in condizione il ceto basso di subire il ricatto tra il lavoro in situazioni misere o l’abbandono sociale. Il fatto poi che dal 2000 ogni settore è diventato un anello all’interno della filiera del Terziario Avanzato, ovvero il comparto Tecnologico, ogni prodotto seppur etico/ biologico/ biodinamico/ etc. è pur sempre un prodotto del Technosistema.
L’epidemia di Covid19 ha aperto uno spiraglio che ha illuminato un’intuizione. Dal momento che il virus ha cominciato ad imperversare a livello globale il Technositema ha reagito limitando la circolazione degli utenti, fermando il comparto Industriale e aumentando le dinamiche virtuali per sopperire al bisogno di relazionarsi tra individui. Ma in tutto questo non ha potuto impedire che la gente morisse. Il Sistema è intervenuto censurando parte delle cifre del contagio, in parte per evitare che se ne mettesse in dubbio l’efficenza, dall’altra per mantenere un controllo sul dosaggio di paura da immettere nel circuito quotidiano per rafforzare il controllo sulla popolazione. Ma ciò che si evince dalla Pandemia è che nonostante il sistema scolastico ci abbia addestrato sul fatto che il mondo naturale rappresenta semplicemente una risorsa inanimata di cui possiamo servirci al limite delle nostre possibilità, esso è invece un Sistema Naturale organizzato secondo leggi da cui noi ci siamo alienati che elabora meccanismi di difesa per se stesso e di attacco verso ciò che è nocivo. La Pandemia evidenzia che il Technosistema non ha il controllo sul Sistema Naturale. Esso è semplicemente costruito sul bisogno umano di riempire il vuoto psichico tra il Sè e l’Altro. Le persone vengono formate fin dalla nascita dalla cultura che hanno intorno e dalle interazioni con le persone vicine. La civiltà manipola queste relazioni primarie in modo tale da addomesticare il bambino, ovvero, in modo tale da abituarlo alla vita in una struttura sociale lontana dalla natura. Il processo reale di addomesticamento può essere descritto come segue, usando termini presi in prestito dalla scuola di psicologia delle relazioni tra oggetti. Il bambino vive completamente nel proprio momento presente, in uno stato totale di fiducia e candore, profondamente legato alla madre. Ma, man mano che cresce, scopre che la madre è un’entità separata con le proprie priorità e i propri limiti. L’esperienza relazionale del bambino cambia da una caratterizzata da fiducia spontanea a una soffusa di bisogno e desiderio. Questo crea un divario tra il Sè e l’Altro nella consapevolezza dell’individuo, il quale tenta di colmare questa frattura sempre più profonda con oggetti sostitutivi, abitudini e convinzioni che servono a riempire quel vuoto fornendo un senso di sicurezza. È il potente bisogno umano di oggetti sostitutivi che guida gli individui nella loro ricerca della proprietà e del potere, e che genera le burocrazie e le tecnologie. Si intuisce che molti dei malesseri psichici ed emozionali della gente civilizzata proviene dall’abbandono, nella nostra cultura, dei metodi di allevamento naturali dei bambini e dei riti di iniziazione, e della loro sistematica sostituzione con pratiche pedagociche alienanti, dalla culla alla vita adulta. Le ripercussioni sulla qualità di vita sono evidenti, ma forse non troppo quelle dei meccanismi di controllo da parte della Megamacchina e gli esseri umani.
Le malattie psichiatriche in primis rappresentano il frutto dei disastri commessi nell’evoluzione umana dalla civilizzazione. I primi a porre le basi teoriche di un’origine evolutiva dei disturbi psichiatrici furono i medici tedeschi Emil Kraeplin (1856-1926) e Kurt Schneider (1887-1967), i quali mettendo in discussione l’esistenza della schizofrenia stessa come un’entità unica e distinguibile dalle altre, hanno per primi sollevato l’idea che si trattasse di un continuum di sintomi che giravano intorno ad un “core”, dove i disturbi del linguaggio/pensiero erano quelli più rappresentativi.Questa considerazione unitamente al fatto che la schizofrenia ha una forte componente genetica e che la sua incidenza è direttamente correlata con l’aumento di civilizzazione dell’essere umano, hanno spinto anche altri ricercatori e scienziati a considerarla come una malattia prettamente umana, con una forte componente evolutiva. Tendenzialmente la psichiatria e la psicologia mettono in luce un aspetto inquietante dell’umanità: tutti sono alienati. Il pensiero della cultura dominante, come sappiamo, ha sempre affermato che la vita alienata è inevitabile. Infatti, la cultura e la civiltà stessa esprime questo dogma essenziale: il processo di civilizzazione – come osserva Freud – è il passaggio forzato da una vita libera e naturale ad una vita di continua repressione. Il Technosistema sa che siamo alienati, sa che potenzialmente sviluppiamo tutti quanti comportamenti ossessivi e maniacali più o meno gravi, e alimenta il disturbo isolando i soggetti più deboli in strutture psichiatriche sviluppate ad hoc. Il Technosistema ragiona a livello matematico e questo tipo di ragionamento ha inevitabilmente influenzato tutti gli ambienti che dominano il quotidiano dell’essere umano. L’interfaccia economica ragiona matematicamente, valutando ogni manovra non come giusta o sbagliata ma come vera o falsa. L’interfaccia politica ragiona a livello nominale, assegnando ad ogni soggetto un valore numerico e costruendo equilibri sociali basandosi su complessi algoritmi generati da computer. E la “casta” sociale più potente è quella dei medici/scenziati i quali hanno nella matematica il fondamento su cui elaborare tutte le loro teorie e confutare quelle provenienti dall’esterno. L’ortodosseismo di solo determinate branche mediche, e l’appoggio incondizionato da parte della classe governante, hanno trasformato la scienza e al suo interno la psichiatria in forme di controllo. Attraverso la psicofamacopea vi è una graduale disumanizzazione dell’individuo, le terapie e i trattamenti sanitari obbligatori (tso) diventano strumenti per isolare chi è potenzialmente dannoso per il clima di (in)coscienza generale e ridurgli in pappa il cervello. Le scienze della mente con il passare del tempo, hanno introdotto un modello standard su cui si devono basare i processi mentali degli individui per potersi definire “normali”. Ed ecco che attraverso la pedagogia avviene un processo di omologazione della specie. Finora abbiamo descritto le dinamiche e la natura intrinseca della tripartizione del Technosistema. Adesso analizzeremo le falle del sistema, e tenteremo di proporre o almeno illuminare un tratto di strada verso l’uscita. Come abbiamo già accennato precedentemente il Technositema non esercita nessun controllo sul Sistema Naturale. Ne manipola le risorse, certo, e crea anche immani danni all’ambiente, ma non può sottrarsi dal subire passivamente le conseguenze degli stravolgimenti ambientali che causa. Sulla base di una dinamica apparentemente democratica e di modelli di normalizzazione delle proteste si assicura il sotegno incondizionato della maggioranza degli individui. E attraverso dinamiche di ricatto sociale si assicura la forza lavoro per far andare avanti i propri meccanismi. La corsa al progresso tecnologico è l’azione principale e rappresenta l’ideologia costantemente riproposta sotto forma di beni di consumo e manipolazione sociale in modo che essa diventi un attività frenetica della popolazione. Coloro che non stanno dietro al progresso, sia per capacità mentale che per scelta ideologica vengono lasciati indietro. Nonostante il modello di Stato Democratico Industriale sia affermato nella stragrande maggioranza dei paesi più potenti, l’obiettivo finale di uno Stato Democratico Industriale Globale è ancora lontano da raggiungere e ciò gioca a nostro favore. Nel continente Asiatico e Africano abbiamo ancora molti paesi che hanno ancora una struttura sociale e politica di stampo semi-tribale e che devono ancora affrontare la transizione totalitaria e successivamente quella democratica. Il fatto che l’intero sistema fa leva su tutta una serie di comfort che ci differenziano dal Paleolitico, qualunque personaggio che teoricamente e nella pratica cerchi di sviluppare un cambio radicale non “criminoso” riceve in cambio dalla commiserazione all’attacco mediatico. Rifarsi al primitivismo e quindi al ritorno di una civiltà pre agricola non solo è utopistico ma non è fattibile. Almeno non nell’immediato. La lotta violenta e l’azione diretta non solo rappresentano modelli di intervento socialmente obsoleti, ma controproducenti ad un cambio radicale costruttivo. Quello che vogliamo fare è porre le basi per un processo di transizione radicale verso un modello di civiltà sostenibile e socialmente libertario. Il modello antropologicamente più giusto è sicuramente quello comunitario. È necessario muoversi attraverso la propagazione di idee che riscuotino la coscienza degli individui e cominciare a sviluppare dinamiche sociali limitatamente al territorio che viviamo intessendo rapporti umani reali. Il sistema non ha controllo su quanto vi è di più naturale, e quindi su tutte quelle modalità sociali meta-tribali.